Dall’accoglienza all’assistenza: Il metodo Gentlecare
Lo chiediamo alla Dr.ssa Antonella Vagnoni Psicologa di VSG

Il nostro reparto Rpd (Residenza Protetta per le Demenze) accoglie persone anziane che presentano patologie croniche degenerative, tra cui un deterioramento cognitivo ascrivibile a un quadro di demenza. Nel reparto si svolgono prestazioni che concorrono al mantenimento delle abilità residue per garantire la miglior qualità di vita possibile.
Dal dicembre 2019 il reparto ha aderito al metodo Gentlecare. A seguito di uno specifico corso di formazione, gli operatori si sono impegnati a pianificare e organizzare gli spazi, le attività e le relazioni con i residenti del reparto, in modo da raggiungere il miglior livello di benessere possibile.
Il metodo Gentlecare si basa su una riformulazione in senso protesico di persone, attività e spazio, consentendo di compensare le perdite in termini di funzioni cognitive e abilità quotidiane e permettendo all’anziano di vivere una vita quotidiana efficace e serena.
Il principio cardine è quello di fornire dall’esterno, mediante le protesi, ciò che l’anziano con demenza non può avere dall’interno, passando quindi da un modello basato sul sintomo a un modello basato invece sui bisogni. L’obiettivo non è dunque quello di andare a recuperare funzioni perse, ma di consentire all’anziano una quotidianità priva di stress e di dolore. Le modalità con cui spesso il malato esprime il suo disagio si palesa tramite alterazioni a livello comportamentale: possono manifestarsi agitazione, aggressività, vagabondaggio, aprassie, agnosie e disturbi dell’alimentazione. Ciò che a parole non può essere espresso si manifesta spesso nelle suddette modalità, aumentando il carico assistenziale e, di conseguenza, aumentando il disagio che il malato vive.
Il modello Gentlecare è un modello individualizzato: si basa sulla singola persona, sulle sue caratteristiche, desideri, bisogni e emozioni e il punto di partenza è squisitamente personale: si parte dalla biografia della persona e sulla base di essa si organizzano le attività e i suoi spazi. Dal momento dell’ingresso in struttura, momento in cui la persona si immerge in tempi e luoghi totalmente differenti, ciò che assume importanza è la storia che la persona porta con sé, chi è, che lavoro svolgeva, quanto della persona e delle sue capacità rimane integro, quali attività preferisce e quali parti di un compito non riesce più a svolgere.
Nel modello Gentlecare le persone, in tal senso gli operatori del reparto, divengono protesi, veri e propri “agenti terapeutici”. Già a partire dal corso di formazione, gli operatori hanno sperimentato l’utilità e il risultato prezioso di mettersi spesso nei panni dell’anziano. Ciò consente agli operatori di vivere e di relazionarsi con i residenti creando un’atmosfera serena che consenta di liberarsi dalla rigidità tipica del “reparto”, spesso causa di disagio, e di comprendere desideri, necessità, bisogni. I nostri operatori si sono messi subito a lavoro con ottimismo e quell’entusiasmo che si può sentire già entrando nel reparto.
Anche le attività sono considerate supporti protesici, definibili tali quando si basano sul benessere e piacere che l’anziano ne trae e non sulla performance. Esse si fondano dunque sul sostegno e sulla valorizzazione delle capacità della persona. Con il sostegno del modello, si sono organizzate attività basate sulle differenze individuali, su cosa piace o non piace a ciascun utente, tra queste attività utili (legate cioè alla vita domestica quali fare le pulizie, piegare indumenti, riordinare ambienti con l’aiuto di operatori), attività legate alla cura della persona (cura del viso e dei capelli), attività intellettuali (sfogliare album, riviste), attività legate a caregiver non umani, soprattutto grazie all’utilizzo delle bambole poste nell’ambiente. Particolare rilievo è dato ad attività spirituali, grazie al prezioso contributo di Suor Minda e Suor Gina che operano nel reparto infatti, gli utenti vivono quotidianamente la recita del Rosario, recita di preghiere, partecipazione alla Messa.
Ciò ha reso necessario una riorganizzazione degli spazi, intesi anch’essi come agenti protesici. Costruire un ambiente adeguato alla persona ha i suoi fondamenti soprattutto nell’intervenire sulla quotidianità e sul significato di piccoli gesti quotidiani. In poco tempo il reparto è passato dall’essere un vero e proprio reparto, inteso in senso medico e ospedaliero, all’essere una casa. Sono comparse fotografie, mobili in legno che ci riportano alla mente il profumo della nostra infanzia e della vita trascorsa, divani per sentirsi comodi come a casa, stendibiancheria e altri oggetti che ci riportano alla mente la quotidianità. Particolare è un angolo dove è stato riprodotto a parete un celebre caffè storico della città e di fronte al quale, spesso, quando entro in reparto, vedo anziani intenti a trascorrere del tempo e quasi mi sembra di immergermi in quell’atmosfera liberty e piacevolmente rilassata.
Naturalmente nel corso di quest’anno non sono mancate le difficoltà: la pandemia ha imposto prepotentemente un cambiamento nelle vite di tutti e di conseguenza anche nel reparto, ha definito quella che è una “nuova normalità”. Sono stata però orgogliosa di osservare quegli operatori, le Suore e la caposala Giorgia che con grande impegno e passione hanno gestito emozioni comuni come smarrimento, paura, tristezza, impotenza e rabbia e hanno continuato a trasmettere ai residenti attraverso i loro occhi quella tranquillità e quella sicurezza che erano soliti trasmettere prima. Hanno, con creatività e calore, proseguito le attività che era possibile svolgere in sicurezza e hanno organizzato videochiamate ai familiari per consentire di sentire, per quanto possibile, la vicinanza e il calore dei propri cari e continuare a trasmettere quella voglia di vita di cui tanto si è avuto bisogno in questo momento.
E’ per tutto questo che oggi è ancora più bello e soddisfacente guardare i residenti e vedere un sorriso nei loro volti, lo stesso sorriso che mi scappa quando nelle stanze sottostanti sento il tipico suono delle videochiamate Skype…
Antonella Vagnoni Psicologa VSG